FONDAZIONE ITALIA®
|
|||
HOME PAGE | INDICE | ||
|
|||
"L'idea di scrivere questo romanzo è nata
dalla domanda: perché io, bambino di dieci anni, che vivevo in una famiglia
passivamente fascista, avevo di nascosto scritto una lettera a Mussolini
chiedendo di partire volontario in guerra in Abissinia? Quale meccanismo
psicologico scattò in me per avere un solo desiderio: ammazzare il nemico,
un abissino?" Protagonista del romanzo è un bambino violato che viene trasformato della martellante propaganda fascista dell'epoca, che tra l'altro "sacralizzava" Mussolini definito "l'uomo della Provvidenza", in un assassino, ma è un assassino innocente perché privato della possibilità di sviluppare la sua autonomia critica. "La presa di Macallè" è ambientato nella Sicilia del 1935 durante la guerra in Abissinia, quando l'autore aveva dieci anni. Ed è questa una novità, perché sino ad ora i romanzi storici di Camilleri erano tutti ambientati fra Sette e Ottocento: per la prima volta l'autore non utilizza documenti dell'epoca, ma attinge ai ricordi della sua infanzia, pur non trattandosi di un libro autobiografico. "A differenza di altri romanzi, dove prevale la figura del narratore romanziere, ne "La presa di Macallè" propongo una lettura dall'ottica del bambino. E' come se riprendessi la scena con una telecamera dal basso. Inevitabilmente questa scelta indice sulla tecnica narrativa, ed è ovvio che sia così perché il bambino è più immediato e coglie i passaggi cruciali di una vicenda in maniera diretta. |
|||
Una priapata storica è, questo romanzo di
Camilleri. Dal "furore" alla "cenere". A Vigàta. Nell'anno di grazia 1935
della guerra in Abissinia, che la letteratura conosce come "baggiana
criminalata"; e i calendarietti profumati dei barbieri fecero sognare come
scorciatoia per il possesso, a pugno stretto, del profondo nero di Tettonia
o Culonia bella. La voce del Duce vi occupa lo spazio pornografico che
intercorre tra una porta che si chiude e una mutanda che si abbassa; tra una
bottoniera che salta e una elargizione genitale. Mentre si consuma lo
scandalo delle "cose vastase", che corrompono l'innocenza di un bambino
prodigiosamente pubere. Michilino è figlio del camerata Giugiù. E un "picciliddro".
Indossa la divisa di Figlio della Lupa. Libro e moschetto lo fanno fascista
perfetto. Prima comunione e cresima lo arruolano nella milizia di Cristo. Il
bambino si cerca a tentoni, tra un padre che si ringalluzza con la creata di
casa e una madre che si da alla "penetrante conversazione" con un prete. Il
sofistico professore Gorgerino, pedofilo e capo dell'opera nazionale ballila,
lo introduce alla ginnastica degli spartani ("i fascisti ai tempi dei
Greci"): lo denuda, e brutalizza il suo "loco spartano" per festeggiare di
volta in volta la presa di Macallè, di Tacazzè, Adigrat, Amba Alagi, Amba
Aradam, Axum. La vedova Sucato lo turba con le sue corporali astuzie. E la
solidarietà sordida della cugina Marietta, una fidanzata di guerra, lo porta
al delirio ferino dei sensi e alla consumazione del gaudio misterioso del
sesso. Vari teatri in un sol teatro spiega la mascherata pubblica
organizzata con i ballila e le piccole italiane, per festeggiare la presa di
Macallè; e onorare i caduti in guerra. Una rumorata eroica. Ovvero "una
minchiata solenne", nelle parole di Cucurullo che nella battaglia aveva
perso il figlio Balduzzo (segretamente fidanzatesi con Manetta). Una
monumentale cialtroneria, "una vigliaccata", nel commento del sarto
comunista Maraventano subito arrestato. Fu quella stessa sera della
rappresentazione che Michilino, risentitosi, maturò l'idea di vendicare la
sua fede in Cristo e in Mussolini, e di giustiziare il coetaneo figlio del
sarto: "Un comunista non è un orno, ma un armalo e perciò se s'ammazza non
si fa piccato". Quella di Michilino è un'infanzia sabotata. La sua innocenza
è stata adescata, profanata, manomessa e seviziata. Corrotta e depravata.
Fino al fanatismo, che confonde cielo e terra, fede politica e fede
religiosa, e arma la mano. Michilino è arrivato al punto di non ritorno di
un terrorista. Soldato irregolare di una fantomatica milizia, del Duce e di
Cristo, si trasforma in pluriomicida. In castigatore, e vendicatore-suicida.
La presa dì Macallè è un romanzo paradossale che intenzionalmente trasmoda
nel troppo, ed eccede ogni misura, a partire dalla promozione a protagonista
di un "angilu minchiutu" di sei anni. Una parabola grottesca, che va
tabulando la tragicità e la normalità abnorme della violenza. Una "istoria"
infine, di dolente tenerezza per una infanzia tradita. |
|||