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La presa di Macallè

di Andrea Camilleri

Sellerio Editore

Pagine 274

Prezzo: Euro 10,00

 


 

 
"L'idea di scrivere questo romanzo è nata dalla domanda: perché io, bambino di dieci anni, che vivevo in una famiglia passivamente fascista, avevo di nascosto scritto una lettera a Mussolini chiedendo di partire volontario in guerra in Abissinia? Quale meccanismo psicologico scattò in me per avere un solo desiderio: ammazzare il nemico, un abissino?"
Protagonista del romanzo è un bambino violato che viene trasformato della martellante propaganda fascista dell'epoca, che tra l'altro "sacralizzava" Mussolini definito "l'uomo della Provvidenza", in un assassino, ma è un assassino innocente perché privato della possibilità di sviluppare la sua autonomia critica.
"La presa di Macallè" è ambientato nella Sicilia del 1935 durante la guerra in Abissinia, quando l'autore aveva dieci anni. Ed è questa una novità, perché sino ad ora i romanzi storici di Camilleri erano tutti ambientati fra Sette e Ottocento: per la prima volta l'autore non utilizza documenti dell'epoca, ma attinge ai ricordi della sua infanzia, pur non trattandosi di un libro autobiografico.
"A differenza di altri romanzi, dove prevale la figura del narratore romanziere, ne "La presa di Macallè" propongo una lettura dall'ottica del bambino. E' come se riprendessi la scena con una telecamera dal basso. Inevitabilmente questa scelta indice sulla tecnica narrativa, ed è ovvio che sia così perché il bambino è più immediato e coglie i passaggi cruciali di una vicenda in maniera diretta.

Una priapata storica è, questo romanzo di Camilleri. Dal "furore" alla "cenere". A Vigàta. Nell'anno di grazia 1935 della guerra in Abissinia, che la letteratura conosce come "baggiana criminalata"; e i calendarietti profumati dei barbieri fecero sognare come scorciatoia per il possesso, a pugno stretto, del profondo nero di Tettonia o Culonia bella. La voce del Duce vi occupa lo spazio pornografico che intercorre tra una porta che si chiude e una mutanda che si abbassa; tra una bottoniera che salta e una elargizione genitale. Mentre si consuma lo scandalo delle "cose vastase", che corrompono l'innocenza di un bambino prodigiosamente pubere. Michilino è figlio del camerata Giugiù. E un "picciliddro". Indossa la divisa di Figlio della Lupa. Libro e moschetto lo fanno fascista perfetto. Prima comunione e cresima lo arruolano nella milizia di Cristo. Il bambino si cerca a tentoni, tra un padre che si ringalluzza con la creata di casa e una madre che si da alla "penetrante conversazione" con un prete. Il sofistico professore Gorgerino, pedofilo e capo dell'opera nazionale ballila, lo introduce alla ginnastica degli spartani ("i fascisti ai tempi dei Greci"): lo denuda, e brutalizza il suo "loco spartano" per festeggiare di volta in volta la presa di Macallè, di Tacazzè, Adigrat, Amba Alagi, Amba Aradam, Axum. La vedova Sucato lo turba con le sue corporali astuzie. E la solidarietà sordida della cugina Marietta, una fidanzata di guerra, lo porta al delirio ferino dei sensi e alla consumazione del gaudio misterioso del sesso. Vari teatri in un sol teatro spiega la mascherata pubblica organizzata con i ballila e le piccole italiane, per festeggiare la presa di Macallè; e onorare i caduti in guerra. Una rumorata eroica. Ovvero "una minchiata solenne", nelle parole di Cucurullo che nella battaglia aveva perso il figlio Balduzzo (segretamente fidanzatesi con Manetta). Una monumentale cialtroneria, "una vigliaccata", nel commento del sarto comunista Maraventano subito arrestato. Fu quella stessa sera della rappresentazione che Michilino, risentitosi, maturò l'idea di vendicare la sua fede in Cristo e in Mussolini, e di giustiziare il coetaneo figlio del sarto: "Un comunista non è un orno, ma un armalo e perciò se s'ammazza non si fa piccato". Quella di Michilino è un'infanzia sabotata. La sua innocenza è stata adescata, profanata, manomessa e seviziata. Corrotta e depravata. Fino al fanatismo, che confonde cielo e terra, fede politica e fede religiosa, e arma la mano. Michilino è arrivato al punto di non ritorno di un terrorista. Soldato irregolare di una fantomatica milizia, del Duce e di Cristo, si trasforma in pluriomicida. In castigatore, e vendicatore-suicida. La presa dì Macallè è un romanzo paradossale che intenzionalmente trasmoda nel troppo, ed eccede ogni misura, a partire dalla promozione a protagonista di un "angilu minchiutu" di sei anni. Una parabola grottesca, che va tabulando la tragicità e la normalità abnorme della violenza. Una "istoria" infine, di dolente tenerezza per una infanzia tradita.
(Salvatore Silvano Nigro)