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Eccoli,
i vincitori della 76ma edizione del premio Viareggio-Rèpaci:
Raffaele La Capria per la narrativa con L’estro quotidiano
(Mondadori), Alberto Arbasino per la saggistica con Marescialle
e libertine (Adelphi), documentatissima e brillante ricognizione del teatro
musicale italiano del Novecento, Milo De Angelis per la
poesia con il sofferto canzoniere d’amore Tema dell’addio (Mondadori),
Alessandro Piperno nella sezione «opera prima» con
il romanzo tanto applaudito e tanto discusso Con le peggiori intenzioni
(Mondadori). Ora, che Raffaele La Capria potesse vincere
il premio Viareggio se l’aspettavano tutti, considerata l’altissima
qualità della sua scrittura e in particolare di questa sua ultima
opera in cui si racconta e racconta in stile diaristico, genere insolito
per l’Italia: ma che La Capria vincesse il Viareggio con un giorno
d’anticipo questo non si poteva immaginarlo. Perché? Perché
non era mai accaduto, nel corso degli anni, che venisse sconvolta la tranquilla
ritualità del premio toscano. Infatti, quello che è successo
tra le giornate di giovedì e venerdì è un piccolo giallo
mediatico. Ieri è uscito nelle pagine de «Il giornale»
un trafiletto all’apparenza innocuo, di quelli anonimi, inserito in
un servizio che dava notizia del convegno «La scena di Garboli»,
organizzato dal presidente e dalla giuria del premio per la giornata di
oggi. Il veleno, però, stava nella coda: si trattava dell’annuncio
dei quattro vincitori che era previsto per oggi, durante una pausa del convegno.
Un’anticipazione vera e propria che ha scatenato la bagarre, tanto
che il presidente del Viareggio, Enzo Siciliano, si è visto costretto
a precisare subito in un comunicato stampa «che non è stato
dato nessun annuncio, ma è stata fatta solo una votazione interna
alla giuria», confermando però tutto quanto era stato anticipato.
Nel gioco di illazioni sulla soffiata, qualche voce ha trovato sospetta
la coincidenza con il raduno, giovedì sera, in casa Bellonci, per
la designazione della cinquina dello Strega. Dubbi e sospetti a parte, è
certo che mai come quest’anno il Viareggio ha ottenuto grande visibilità
sul piano mediatico. Ma ciò che interessa particolarmente è
la motivazione delle scelte effettuate, perché rivela la volontà
di delineare un compiuto profilo di storia letteraria: «Si è
voluta premiare la qualità di tre generazioni diverse, una qualità
che scorre lungo gli anni, da La Capria ad Arbasino, attraverso la generazione
di mezzo con un poeta come Milo De Angelis, per arrivare a Piperno, che
rappresenta un talento, capace di sollevare apprezzamenti partecipati e
polemiche molto vivaci». Del verdetto del premio ne parliamo con Raffaele
La Capria, rintracciato nella sua casa romana, mentre si appresta a partire
per la città toscana. Come lo giudica? «Mi piace molto che
non si tratti di un premio alla carriera, ma a un’opera che è
viva, presente e attuale. Così è per me questo libro. È
una sorta di diario che ho scritto perché volevo avere un rapporto
diretto con il lettore, senza alcuna intermediazione. Sapevo bene che i
tempi della civile conversazione erano finiti e proprio per questo mi era
venuto il desiderio di iniziare una conversazione con il lettore, sperando
che avesse voglia di ascoltarmi». Un passaggio molto importante del
suo diario è il concetto di «terzietà esistenziale».
«È un dato che mi appartiene perché ho vissuto in due
famiglie molto diverse ideologicamente tra loro: quella antifascista di
Ernesto Rossi e quella fascista di Barna Occhini. E dunque ho attraversato
fino in fondo il dramma della anomalia italiana, ovvero la memoria sequestrata
dalla politica, la storia non risolta, la divisione. Essendo napoletano,
e quindi storicamente memore della rivoluzione del 1799, so quanto di drammatico
ci sia in questa divisione. La terzietà è anche un senso di
ferita profonda che ci si porta dietro, una ferita di tipo esistenziale
che ho voluto rappresentare in Ferito a morte, ma che rivela la sua matrice
collettiva e storica nel libro che ho scritto su Napoli negli anni Ottanta,
L’armonia perduta». Che cosa pensa ora di Napoli? «Napoli
è e resta una città vitale, ma anche virtuale, piena di possibilità
non ancora compiute, che è abitata da persone straordinariamente
duttili e di grande talento, ma che hanno bisogno di un punto d’appoggio,
di fiducia, di trovare in loro stesse la capacità di avviare attività
e di promuoversi». Progetti futuri? «Un libro per completare
la vicenda autobiografica raccolta nel Meridiano della Mondadori. Voglio
raccontare tutto ciò che si è pensato e si è provato
in una vita. È un libro in cui riflessi narrativi e saggistici si
mescolano in un impasto molto personale e in cui posso pienamente riconoscermi».
Dunque la bella giornata continua? «La mia bella giornata non è
cambiata, perché, anche prima nella giovinezza, la promessa della
felicità che rappresentava era talvolta insidiata da un’ombra.
L’età mi sta dando il senso della distanza e anche una sorta
di filosofica rassegnazione alla caducità della vita. Ma continuo
a pensare che è proprio quando si ha la consapevolezza della propria
caducità che si apprezza di più la vita». Chi le manca
di più dei suoi amici che non ci sono più? «Mi manca
in modo particolare l’ironia e il senso dell’umorismo di mio
fratello Pelos e quello del mio grande amico Goffredo Parise».
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25
giugno 2005 |